Puzz, una delle prime riviste indipendenti a fumetti

“Chiamiamolo Puzza!!
“Non esageriamo, chiamiamolo Puzz”.

Così Max Capa, in un’intervista a Fumettologica del 2017, ci racconta del battesimo di una delle prime riviste indipendenti italiane di fumetti (anzi, di “sballofumetti”): Puzz.

Privo di una periodicità regolare, Puzz uscì per circa una ventina di numeri, senza considerare gli speciali, tra l’aprile del 1971 e il giugno del 1976. Il suo ideatore, insieme ad un gruppo di collaboratori, era appunto Max Capa, nome d’arte di Nino Armando Ceretti, nato nel 1944 a Giussana (VE). La sua passione per il fumetto era nata grazie a Linus e a Eureka, riviste che proprio in quegli anni stavano cambiando la reputazione del fumetto in Italia, ma ebbe una svolta importante dopo il suo trasferimento a Milano nel 1969.

A quel tempo Capa aveva già collaborato con diverse fanzine e riviste underground. Una di queste riviste, Humour (editrice Insubria), gli commissionò la direzione di un inserto che però non piacque per niente ai lettori. Questo inserto era Puzz ed ebbe un inizio così controverso da calzargli a pennello.

Abbandonato dall’editore, Puzz non morì lasciato a se stesso: i suoi autori decisero di autoprodurlo, ricorrendo a tecniche di stampa il più economiche possibile, come l’eliografia e la stampa off-set. L’inserto rinacque come rivista: Puzz – Il controgiornale di sballofumetti.
La distribuzione di Puzz avveniva semplicemente a mano e così andò avanti per più di cinque anni, con collaboratori del calibro di Matteo Guarnaccia, Vincenzo Jannuzzi, Renzo Angolani, Poppi Ranchetti, Claudio Mellana e Graziano Origa.

La “fabbrica”, vista come luogo-simbolo del lavoro alienante, inserita in un contesto fantascientifico. Tavola recuperata da “Il manuale del piccolo provocatore. I banali fumetti di Puzz”

Non poteva esistere una rivista a fumetti più insolita. Lo scopo di Max Capa e degli altri autori non era quello di pubblicare qualcosa che esisteva già sul mercato ma dare vita a una rivista che potesse essere sia diversa che personale, come già avevano fatto gli autori dell’underground americano. 

All’epoca (ma anche oggi), leggere un numero di Puzz era sicuramente un’esperienza fuori dagli schemi: ogni autore seguiva le proprie regole (se ne avevano), le vignette erano densissime di parole, disegni e doodles (a prova di horror vacui) e, soprattutto, le storie non venivano scritte per intrattenere il lettore. Potevi vedere ogni sorta di creature aliene, caricature grottesche e animaletti parlanti, ma lo scopo di quelle storie non era mai raccontarti un’avventura. Anzi, l’intento di Puzz era proprio quello di infrangere ogni tipo di convenzione legata al fumetto, trovando alternative a quello che già si pubblicava.

Ispirati dal Situazionismo (movimento culturale nato nella seconda metà degli anni Cinquanta, influenzato dal marxismo, dall’anarchismo e dalle avanguardie storiche), gli autori di Puzz creavano storie nonsense che miravano a protestare contro la politica e la società a loro contemporanee, respingendo ogni tipo di fumetto d’evasione a favore di quelli che loro chiamavano “fumetti critici”: fumetti socialmente e politicamente impegnati che contestavano direttamente la società dei consumi, i mass media, il lavoro alienante e i ruoli che il sistema capitalista imponeva agli individui, soffocando la loro creatività e la loro ricerca della felicità e del piacere. Non a caso all’interno di Puzz spesso non si trovavano “solo” fumetti, ma anche articoli sovversivi e brevi saggi di stampo radicale.

Di numero in numero, la volontà degli artisti di Puzz di allontanarsi sempre di più dall’idea di fumetto, commerciale e di intrattenimento, arrivò al punto di affermare di volerlo distruggere, rifiutando ogni tipo di definizione per le loro opere.

L’aspirazione di Puzz di “distruggere il fumetto” ha dimostrato come le potenzialità di questo medium siano di fatto infinite, con così tante possibilità da poter distruggere e ricreare se stesso in continuazione. Tutto questo accadde in un periodo in cui si cominciava a pensare che il fumetto potesse essere qualcosa di più di un prodotto per bambini o per lettori troppo pigri (la prima edizione di Apocalittici e integrati di Umberto Eco, importante testo critico che tratta anche di fumetto al pari di altri media, era stata pubblicata nel 1964).

Il capitolo di Puzz e delle riviste underground degli anni del 1968-77 si sarà anche chiuso, ma la loro ricerca, una volta ri-scoperta, non può essere ignorata: ci dimostra ancora oggi che del fumetto abbiamo visto solo la punta dell’iceberg e che ancora moltissimo da esplorare. Chissà cosa si cela sott’acqua…

Abbiamo parlato di Puzz, Max Capa e delle riviste autoprodotte degli anni ‘60-’70 nella puntata S1-1 di Podcast Povero, con ospite Francesco Ciaponi

Bibliografia

  • Il manuale del piccolo provocatore. I banali fumetti di Puzz, Milano, Edizioni Ottaviano, 1976
    (Grazie al circuito delle Biblioteche di Milano per il prestito. Non lo saprete mai, ma vi vogliamo bene)

Sitografia